Dodicesimo album dei Tull, è il terzo grande concept album che i critici considerano parte della cosiddetta Trilogia folk che comprende Songs From The Wood, Heavy Horses e, appunto, l’album che sto recensendo. Nonostante questo, va sottolineato che, dal punto di vista delle sonorità, Stormwatch è un disco a sé; qui infatti i Tull abbandonano il folk rock tipico ad esempio di Heavy Horses e ritornano a sonorità squisitamente progressive rock rendendo le canzoni ancora più incisive ed efficaci. Se proprio vogliamo trovare un aspetto che accomuna i tre dischi, si tratta delle tematiche delle canzoni, in quanto, dopo un album che omaggia i cavelli e la vita di campagna, i Tull realizzano un album le cui canzoni trattano di eventi apocalittici, eventi spaventosi, dell’aumento del prezzo del petrolio, e così via.
L’ascolto inizia con North Sea Oil, primo gioiello progressive del disco: grande super classico, questa canzone fa subito capire di che tipo di problematiche tratterà questo album. Tema di questo brano – nonostante non sia citato esplicitamente nel testo – è l’aumento del prezzo del petrolio in seguito alla crisi petrolifera che ha colpito l’Europa negli anni Settanta.
Si passa poi a Orion, altro grande super classico. Si tratta della prima di un paio di canzoni che necessitano di un paio di ascolti successivi per poter essere apprezzata a dovere: va detto infatti che questa non è di facilissimo ascolto, ma quando la si apprezza come si deve diventa un ascolto di cui non si può più fare a meno. La traccia successiva è Home: ciò che arricchisce ancora di più questo brano assolutamente delizioso sono i caratteristici passaggi strumentali di gusto squisitamente progressive. Il brano successivo è Dark Ages: eccoci finalmente arrivati alla sintesi di tutto il disco; questo è un altro immenso super classico; si tratta di un brano splendido arricchito da passaggi di gusto spiccatamente progressive. Eccoci al primo brano strumentale del disco: Warm Sporran. Il titolo di questo brano fa riferimento a quella sorta di borsello che gli scozzesi indossano insieme al kilt. Questo è un brano assolutamente delizioso che cerca di far calare la tensione in un disco che tratta di questioni delicate.
Dopo l’efficacissimo intermezzo strumentale, inizia la canzone più bella dell’album: Something’s On The Move: si tratta del brano con sonorità genuinamente e squisitamente rockettare. Abbiamo poi tre brani meno impegnativi, con un arrangiamento squisitamente unplugged: Old Ghosts, Dun Ringill e Flying Dutchman. Dopo queste tre canzoni che costituiscono, con molta probabilità, il punto debole del disco, c’è l’ultima traccia dell’album: Elegy. Si tratta di un altro delizioso brano strumentale che ha il compito di far tirare un sospiro di sollievo e di far distrarre un momento l’ascoltatore regalandogli un momento di raccoglimento e di relax.
Se, come il sottoscritto, possedete la versione in cui, a sinistra della copertina c’è scritto Digitally Remastered With Bonus Tracks (in altri termini è la ristampa dell’album avvenuta nel 2004), l’ascolto prosegue con quattro brani in più: A Stitch In Time, Crossword, Kelpie e la strumentale King Henry’s Madrigal.